Parlare di personal branding e content curation vuol dire andare oltre gli schemi che spesso ci fissiamo e che seguiamo per ottenere visibilità. L’idea base è questa: per farti notare devi comunicare, devi esserci nel miglior modo possibile. E il personal branding diventa un obbligo per chi lavora online.
Questo è vero nella misura in cui puoi ottenere risultati migliori in termini di fatturato grazie alla diffusione del tuo nome. Ma soprattutto – ed è qui che si nasconde lo snodo principale – quando la tua figura viene associata a valori virtuosi. La tua presenza deve essere collegata a qualità ed efficienza.
Non devi solo comunicare, lo devi fare bene e con continuità. Non solo oggi o domani, non devi fare solo un buon colpo: devi essere costante nella produzione di segnali utili per influenzare il pubblico. Spesso l’idea base è quella di lavorare sulla produzione di contenuti, che può avvenire in modo differente. Ad esempio sul blog che è lo strumento principale dell’universo inbound marketing, ma anche con i video o i podcast.
Ma c’è solo questa strada da seguire? È possibile fare personal branding senza produrre ma curando i contenuti?
Io dico di sì, ecco perché ti consiglio di dare uno sguardo ai prossimi paragrafi.
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Cos’è il personal branding: una definizione
Il concetto di personal branding è stato usato e abusato. Si tende a far rientrare un po’ tutto sotto questo termine-ombrello, anche se un passaggio chiave della metodologia di Seth Godin può essere riconosciuto come il leit motiv di questo concetto. Sto parlando del posizionamento nella mente attraverso il fare qualcosa di utile e di significativo, senza chiedere qualcosa in cambio. E senza farsi pagare.
Puoi ascoltare i tuoi clienti, regalare un ebook significativo, portare avanti una campagna di customer care satisfaction puntuale e precisa. La definizione di personal branding è abbastanza scontata: far emergere ciò che ti rende unico e differenziarti rispetto ai competitor mettendo in evidenza i punti di forza e comunicando le tue abilità in modo da farti scegliere. Ma come avviene tutto questo?
Il permission marketing può essere una strada
Il concetto, forgiato da Seth Godin, riguarda proprio la possibilità di intercettare l’utente cercando di capire cosa desidera e offrendo qualcosa di utile per ottenere l’obiettivo. A differenza del “vecchio modo” di fare promozione, qui non ci sono interruzioni, solo buone regole per coltivare un’audience interessata che può trasformarsi in clientela. Ovvio pensare che in questo equilibrio il personal branding si alimenti in modo automatico grazie alla creazione dei contenuti utili.
Ma forse stai spostando il focus su qualcosa di diverso, perdendo di vista ciò che conta. La relazione tra personal branding e content curation non riguarda solo il ritmo di pubblicazione, ma il quanto tu possa essere utile alle persone con quello che fai ogni giorno. Approfondiamo il tema?
Personal branding e content curation
L’idea non è quella di lanciare qualcosa di nuovo ogni giorno. Può essere una soluzione interessante e un obiettivo da perseguire. Anche perché la base del content marketing è proprio questa. Da sempre c’è grande attenzione nei confronti di chi crea e di chi fa nascere nuove idee. È affascinante, lo so.
D’altro canto ci sono una serie di limiti imposti dal concetto stesso di rete, dal web così come lo conosciamo oggi. Senza dimenticare gli ostacoli pratici legati alla propria attività quotidiana. Ti faccio qualche esempio concreto partendo da domande che ti sei fatto nel corso della tua carriera:
- Questo contenuto è già stato creato e affrontato da qualcuno?
- Ho il tempo per creare sempre qualcosa di nuovo e di interessante?
- Come posso alimentare i miei canali in modo da essere sempre utile e sul pezzo?
- Le persone hanno bisogno di nuove versioni di ciò che si trova?
Come puoi ben vedere i dubbi sono tanti. Se vuoi migliorare il tuo personal branding non basta pubblicare, o almeno non è sempre questa la chiave giusta. A volte qualcuno ha già messo sul web un post esaustivo, e magari la risposta alle domande dei clienti non riguarda la necessità di andare online.
Non è sufficiente sfornare un nuovo post. A volte non serve questo ma dà più soddisfazioni la possibilità di racchiudere in un luogo ciò che è già stato fatto. Ecco la novità che ti propongo: dare visibilità agli altri per essere utile al tuo pubblico, può essere questa la strada da seguire? Sì, se riesci a trovare la tecnica giusta.
Un esempio di personal branding basato sulla content curation: Robin Good. Ogni giorno Robin lancia estratti e consigli basati proprio su un lavoro costante su link già presenti. Se vuoi capire come si lavora in questo settore ti consiglio di seguire i suoi canali social e la sezione del sito web dedicata agli strumenti: tools.robingood.com.
Come fare content curation sul serio
Questo è il vero problema secondo me. La relazione tra personal branding e content curation viene messa in ombra perché manca una buona cultura su questo tema. E la content curation si limita a essere un semplice cercare e condividere post più o meno interessanti per la propria audience. Un lavoro, quest’ultimo, che ha la sua dignità ma che ha bisogno di molto altro per arrivare a un passaggio più alto.
Un passaggio che riguarda la cura dei contenuti. Come puoi vedere da questa grafica, c’è una massa che crea varie versioni di uno stesso tema. Questi differenti contenuti non sono spesso utili al tuo destinatario. Il brand (ovvero tu) si occupa di filtrare questi aggiornamenti attraverso un processo che va dalla contestualizzazione all’aggiornamento.
Senza dimenticare l’arricchimento che è una delle fasi centrali, garantita anche dalle diverse piattaforme che puoi usare per portare a termine questo lavoro. Proprio grazie a queste realtà (come Scoop.it, Pinterest, ZEEF e altro ancora) puoi pubblicare raccolte a tema e proporle a un’audience interessata al lavoro svolto. Ecco la chiave di volta del rapporto tra content curation e brand.
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Qual è il tuo punto di vista?
Personal branding e content curation: come puoi ben vedere la relazione è profonda. Devi comunicare costanza, coerenza e competenza ai tuoi potenziali clienti (che si trovano nell’audience di riferimento) ma non sempre la strada migliore riguarda la creazione dei contenuti. Spesso devi essere in grado di:
- Individuare.
- Raccogliere.
- Organizzare.
- Arricchire.
- Ripubblicare.
Un nuovo lavoro rischia di diventare una ridondanza, una raccolta ben fatta in termini di content curation può essere la risposta giusta. Nel giusto equilibrio si trova la virtù, e uno strumento come Spidwit ti aiuta proprio a fare questo: trovare la risorsa giusta organizzando fonti e contenuti sui social.
Nel frattempo lascia la tua opinione nei commenti: secondo te personal branding e content curation possono (o devono) coesistere? In che modo può avvenire? Aspetto la tua esperienza.
Autore: Riccardo Esposito
Sono un web writer e un blogger freelance. Mi occupo di formazione e scrittura online, lavoro ogni giorno per professionisti e aziende che vogliono sfruttare al massimo il blog.